Il Giornale dell’Arte numero 316, gennaio 2012
Il viaggio come «tecnica» di un nomade nell’animo esplorato in un saggio di Rachele Ferrario
David Tremlett è un artista viaggiatore per certi versi paragonabile a Chatwin. È un viaggiatore che vive la strada, il percorso, che respira il paesaggio e il luogo con tutto ciò che s’incontra e si trova. Di tutte le sue esperienze, le sensazioni provate, le speranze e le delusioni, le gioie e le fatiche rimane un tenue segno che le accorpa e le sublima rendendo a chi guarda l’opera d’arte il senso dell’esperienza fatta che diviene sentire universale.
Tremlett esordisce negli anni Sessanta in ambito concettuale, e attraverso questa matrice che col tempo si è arricchita di una singolare sensibilità, ha interpretato le sue esperienze artistiche e di viaggio fatte di luci, suoni, colori, architetture sino a dare un senso alle culture che in questi anni ha incontrato in quell’unico lungo viaggio che è in sostanza il suo essere artista. Come due altri grandi dell’arte contemporanea, Hamish Fulton e Richard Long, l’artista inglese tende a instaurare con la natura non un rapporto di conoscenza, ma una tensione mistica di cui il viaggio, esperienza materiale, è solo la «tecnica» d’approccio. Sarebbe sbagliato assimilare Tremlett a molti artisti contemporanei le cui opere sembrano un’applicazione socio-estetica dell’etnologia. Tremlett non è interessato agli aspetti culturali o sociali dell’ambiente che percorre, almeno non direttamente. Egli è colpito dalle sensazioni diffuse, dall’aria che si respira, e il suo essere artista si realizza quando riesce con un gesto, un segno, con un accostamento di colori, a coglierne l’aura e comunicarla a chi guarda l’opera.
Nomade nell’animo, Tremlett studia al Royal College che con la St. Martin’s School of Art è una delle due scuole in cui si forma quella generazione di artisti da Gilbert & George a Richard Long, da Jan Dibbets a Barry Flanagan che buttano a mare la tradizione, seppur possente, di Henry Moore. La scultura non è più marmo e piedistallo ma diventa libera, sino alle esasperazioni di Gilbert & George che trasformano i loro corpi in sculture viventi. Non stupisce quindi che alla sua prima mostra nel 1969 le opere di Tremlett vengano definite «sconcertanti eventi scultorei»: mattoni, cento chiodi in fila, fili di metallo fanno però già capire che si è di fronte non a «oggetti statici, ma a parte di un processo». Già si coglie una cifra che sarà sempre presente nell’opera di Tremlett: il senso del tempo, dell’effimero significante, connaturato al luogo o all’esperienza del viaggio.
L’artista sarà attratto dalla ricerca di Beuys ma anche di Fluxus. Del 1971 è il viaggio in autostop in Australia. La categoria del viaggio, travalicato lo schema concettuale, si svolge come esperienza fenomenologica, registrazione di forme, suoni, colori per «creare trame e ritmi piuttosto che un palcoscenico per un’attività narrativa». E come esperienza ontologica, «Il viaggio per me è alla base della vita». Gli esiti dei suoi successivi viaggi, dall’Oceania all’Africa, dal Centroamerica all’Asia, sono stati esposti nei più importanti musei. Dal 1978 Tremlett realizza wall drawings, disegni e pitture, stendendo pigmento direttamente con le mani sui muri di gallerie e musei. Realizza interventi in chiese abbandonate, dove rende non un’esaltazione della religiosità bensì la spiritualità del luogo. Ma soprattutto paiono ancor più profondi e affascinanti gli interventi su rovine ormai cadenti in luoghi impervi, lasciati al decadimento determinato dal tempo, lontano dall’occhio umano.
Su questo artista che ha fatto del viaggio una forma d’arte, Rachele Ferrario, storica e critica d’arte contemporanea, pubblica da Nomos Edizioni un articolato saggio che ha il grande pregio di non essere scritto in «critichese». L’autrice, pur fornendo approfondite informazioni corroborate da riflessioni critiche, ci conduce con il piacere della lettura attraverso le vicende artistiche di Tremlett dandocene un ritratto completo, passando da un periodo all’altro della sua ricerca con la leggerezza e l’approfondimento propri di un viaggio tremlettiano.
David Tremlett. The Thinking in Space, di Rachele Ferrario, edizione italiana e inglese, 160 pp., ill. b/n e colore, Nomos Edizioni, Busto Arsizio (Varese) 2011, € 22,00