BIO

genesis_054Massimo Melotti, è critico d’arte indipendente e consulente d’arte contemporanea. Come sociologo dal 1980 la sua ricerca verte sui processi creativi e sul rapporto arte, nuovi media e società. Dal 1990 al 2018 è Consulente di Direzione del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea dove ha coperto gli incarichi di Responsabile Organizzazione, Comunicazione, Relazioni Esterne, Responsabile del New Media Center Project del museo. Docente a contratto dal 2000  ha insegnato all’Università di Torino, ad Architettura al Politecnico di Torino, all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino dove attualmente è docente di Antropologia Culturale. E’ consulente scientifico della Fondazione Pistoletto-Cittadellarte. Tra le ultime mostre curate ricordiamo Michelangelo Pistoletto Opere, Cittadellarte, Biella. Francesco Jodice American Recordings, Castello di Rivoli, Il Tempo e le opere, Pisa. Tra le pubblicazioni più recenti L’età della finzione, arte e società tra realtà e estasi, Bollati Boringhieri, con una prefazione di Marc Augé e Pistoletto Opere, Allemandi Editore, American Recordings, Humboldt Books. Collabora con Il Giornale dell’Arte.

Massimo Melotti is art critic and contemporary art consultants. Sociologist, from 1980 studies on creative and cultural processes. From 1990 to 2018 he is Directory Consultant of Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea as chief of Organisation, Comunication and External Relations, chief of the Art and New Media Project of the Museum. He is scientific consultant of Fondazione Pistoletto Cittadellarte, Biella. He was professor at the University of Turin, at the Polithecnic of Turin. To day he is professor at Albertina Accademy of Fine Arts. He curated Michelangelo Pistoletto Works, Biella; Francesco Jodice American Recordings, Castello di Rivoli. Between publications: The Age of Fiction, with an introduction by Marc Augé, Bollati Boringhieri, and Pistoletto Works, Cittadellarte- Allemandi editore; American Recordings, Humboldt Books. He writes for Il Giornale dell’Arte.


 Recensioni

La Stampa.it  03/08/2009

La realtà non è più vera, è verosimile

 

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Marco Belpoliti
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Chi controlla le fiction televisive, controlla la televisione. Il potere del piccolo schermo luminoso non risiede più nei telegiornali, ma nel complesso sistema delle fiction. Certo, i telegiornali che tacciono, oppure esaltano, una certa notizia, contano, ma solo nell’immediato, ovvero nello spazio di 12-24 ore. Poi notizia scaccia notizia. E nessuno se ne ricorda più.

Le fiction invece lavorano alla distanza, perforano la memoria e costituiscono il sistema dei nostri ricordi attivi su molti argomenti: la salute vista attraverso Terapie d’urgenza, i sentimenti con lo sguardo di Un medico in famiglia, la storia via Barbarossa, l’educazione attraverso Maria Montessori, la mafia spiegata da L’ultimo dei Corleonesi; e così via. Per questo chi dirige Rai Fiction, o l’analoga struttura Sky o Mediaset, non è uno qualunque, ma il padrone dell’immaginario degli italiani. Un fatto culturale e ora anche politico.

Così si spiega l’attuale balletto di cariche intorno ai giornali di proprietà del presidente del Consiglio, e l’importanza strategica che nella sua politica dell’immagine ha la nomina del direttore di Rai Fiction, struttura dotata di un notevole budget, per questo ambita, ma anche perché è oggi una carica «politica».

Più di vent’anni fa con Hill Street Blues i serial televisivi sono entrati nell’orizzonte dello spettatore medio e ne costituiscono, nel bene e nel male, l’immaginario più pervicace. Chi non ne ha seguito, per curiosità o per passione, almeno uno? Le fiction hanno preso il posto dei romanzi d’appendice, della letteratura seriale, dei fotoromanzi e delle storie che si raccontavano di bocca in bocca la sera nelle case.

In effetti fiction significa racconto, prosa narrativa basata su avvenimenti immaginari con personaggi immaginari. E ha una doppia valenza, come ci ricorda Massimo Melotti, autore di L’età della finzione (Luca Sossella Editore): un aspetto creativo, inventivo, e un aspetto di simulazione. Fiction come finzione. Non semplicemente falso, bensì simile al vero. L’arrivo delle fiction televisive, figlie delle soap opera americane e delle telenovelas sudamericane, ha mutato il regime di realtà introducendo tra il vero e il falso una via di mezzo che è il verosimile: simile al vero, ma non vero.

La fiction non è solo un effetto massmediale, ma condiziona in modo attivo i nostri modi di pensare, le convinzioni più intime, gli stessi comportamenti. E ora che le fiction sono diventate anche dei racconti a sfondo storico – Barbarossa – anche il nostro modo di ricordare il passato. Un telefilm televisivo in più puntate dedicato ai Comuni italiani o al Risorgimento vale più dei libri di testo scolastici. L’immagine sta avendo il sopravvento sulla parola scritta. Il punto è che la fiction costituisce sempre più la fonte attiva dei ricordi delle persone, sostituendosi alle esperienze stesse, con uno scambio continuo tra «realtà» e «finzione», così che la finzione è più potente della realtà stessa e la modella.

La fiction televisiva rispetto al cinema ha qualcosa di più: permette agli spettatori di identificarsi con i personaggi «reali» della finzione, mentre l’eroe, modello del romanzo come del film, resta unico e lontano dalla vita dei singoli. E non ci sono solo le opere di narrazione o di finzione scenica – sit-com, serial, telenovelas, soap opera – ma anche i talk show e i cosiddetti docudrama (dove si drammatizzano temi controversi della vita reale) e docufiction (documentari su temi storici con attori) appartengono al genere fiction. Melotti nel suo studio ci ricorda le tre caratteristiche di questi generi televisivi: per loro la realtà è un materiale grezzo su cui operare; il pubblico vi può partecipare; il conduttore costituisce l’indispensabile tramite tra realtà e finzione. Il Grande Fratello è un esempio perfetto di fiction: si basa sulla realtà, ma il suo copione è scritto in modo narrativo.

Per questo è così importante il posto di direttore della fiction nella televisione cosiddetta di Stato. Se nella società dell’informazione era ancora necessario usare delle notizie – più o meno manipolate -, nella società della fiction basta far girare la stessa storia attraverso strumenti scenici e televisivi: inquadrature diverse, prospettive diverse, versioni diverse. Ciò che non deve mai cambiare è il plot della storia. Per quanto Internet modelli il paesaggio futuro, la tv agisce sul paesaggio presente di moltissimi, soprattutto delle classi popolari, che non sono solo i proletari di marxiana memoria, ma anche impiegati, casalinghe, giovani e ora anche immigrati. Per loro c’è la fiction con la sua capacità di «mantenere la tensione dell’evento in sé». Marc Augé ha scritto che il tempo in cui il reale si distingueva chiaramente dalla finzione è scomparso. I padroni della fiction sono i padroni del nostro immaginario.

Forse solo quando sbatteremo contro il fondale di cartone, allestito dal padrone della neotelevisione, sentiremo come Truman la voce del regista di turno che, di fronte al sano istinto di andare oltre, ci dirà con tono suadente e materno: «Sono il creatore di uno show televisivo che dà speranza, gioia ed esalta milioni di persone. Ascoltami, là fuori non troverai più verità di quanta non ne esista nel mondo che ho creato per te: le stesse ipocrisie, gli stessi inganni, ma nel mio mondo non hai nulla da temere». Sapremo sfondare il muro d’immagini che ci separa dalla realtà e ritrovarla, una buona volta?


La Repubblica, martedì 20 maggio 2008

“Non c´è più confine tra realtà e finzione”

Lo spettacolo è ormai prodotto di consumo nella società globalizzata, forse uno di quelli che ha maggiore valore
L´uso dei mezzi modifica i comportamenti: sia Internet, i videogame, ma anche il cellulare Era accaduto con la tv
SARA STRIPPOLI
Massimo Melotti è sociologo dei processi culturali e ha appena pubblicato un libro dal titolo «L´età della finzione» in cui si è occupato delle contaminazioni fra realtà e finzione, ha ricordato storie di cronaca in cui la spettacolarizzazione prende il sopravvento sul gesto.
Melotti, in questa storia tristissima di un ventenne che si dà fuoco dopo essere stato accusato di spendere ore su siti pornografici in orario di lavoro, quanto pensa che conti l´abuso del mezzo tecnologico?
«Senza dubbio l´uso dei mezzi modifica i comportamenti. Che sia Internet, i videogame, ma anche il cellulare. D´altronde era già accaduto con la televisione. Marc Augé ha definito questo fenomeno “porosità fra finzione e realtà”, si annullano i confini fra l´una e l´altra, non si riesce più a distinguere il rapporto fra causa ed effetto, con la conseguenza che si crea uno scollamento fra quello che accade nel virtuale e le sue risultanze nella realtà. Certo, i primi a soffrirne sono personalità problematiche, i più fragili».
Un ragazzo di vent´anni può aver pensato di essere accusato per quella che considera una colpa lieve, ore su Internet su siti porno?
«Credo proprio che possa essere plausibile, anche se nulla so e nulla posso commentare di questo fatto. Uscire sempre dal lavoro per bere un cappuccino ed essere beccato può essere percepito, a quell´età, come una colpa più grave. D´altronde il computer è un mezzo di lavoro e con un clic si ha a disposizione il mondo intero. Si può fare altro mentre si naviga, si può rispondere al telefono. Si può prendere il bene o il male. Se si pensa alla pedofilia, capita spesso che chi scarica materiale pedopornografico non si renda neppure conto di contribuire ad alimentare un reato orribile. Si limita a cliccare e guardare. Quando c´era stato il caso dei ragazzi dello Steiner, mi aveva colpito il preside che raccontava che i colpevoli avevano realizzato la gravità del gesto solo quando avevano visto il video».
L´sms che annuncia un suicidio presentato come “uno spettacolo”. La violenza, su di sé o sugli altri, che rende più forti perché ha un pubblico. Anche questo è nel linguaggio del nostro tempo?
«Un tempo si scriveva una lettera, adesso un sms. In Giappone si sta diffondendo un suicidio collettivo rituale con convocazione via cellulare. Creano il contatto via sms e poi si avvelenano in auto con il monossido di carbonio. Oltre il 20 per cento sono adolescenti e su Internet ci sono siti in cui se ne discute. Il primo, con convocazione in rete, è del febbraio 2003».
Potremmo dirci che è il lontano Oriente, ma è evidente che il discorso non regge più. È così?
«Esatto, viviamo in una società globalizzata. Una società in cui lo spettacolo è prodotto di consumo, forse uno di quelli che ha maggiore valore».

La Repubblica – SABATO, 17 MAGGIO 2008
Pagina XXI – Torino  –  Paolo Viotti
E IL MONDO INAUGURÒ L´ETÀ DELLA FINZIONE
Un saggio di Melotti analizza il “dietro le quinte” di arte, media e società

Torna dopo due anni L´età della finzione. Arte e società tra realtà ed estasi, il saggio di Massimo Melotti dedicato al nostro mondo confuso, in cui sempre più spesso si fatica a distinguere tra ciò che accade per davvero e ciò che è solo rappresentato o virtuale. E torna con una prefazione di Marc Augé, l´antropologo francese inventore dei «non luoghi», che scrive: «Forse un giorno l´uomo dipenderà dai media ai quali il suo corpo oggi è attaccato, in senso sempre più letterale, tanto quanto dipende dal suo stesso corpo. Forse l´uomo dipenderà dai suoi mezzi di comunicazione o informazione come già dipende dai suoi occhiali o dai suoi apparecchi acustici. È difficile immaginare l´effetto di questi innesti tecnologici sulle generazioni a venire». E ancora ci avverte, Augé: «La forza delle immagini a ciclo continuo è tale che ci fa prendere i messaggi che esse ci impongono per la realtà pura e semplice. Un evento che non sia mediatizzato semplicemente non esiste».
Ecco allora che Melotti – critico d´arte ed esperto in organizzazione culturale, docente di Museologia e Sociologia e responsabile delle relazioni esterne al Castello di Rivoli – apre il suo studio con una domanda cruciale: «Siamo sicuri di vivere la realtà, di vivere cioè quel fenomeno che accade sotto i nostri occhi e di cui non abbiamo mai dubitato?». Prova a rispondere passando in rassegna nei vari capitoli fiction tv e reality show, comunicazione e consumismo, crimini spettacolarizzati e riti dionisiaci, sconfinando dalla musica, al cinema, alle arti visive. E, avvalendosi tra le altre delle parole di Guy Debord, l´autore in anni non sospetti di La società dello spettacolo, di Roland Barthes e dei suoi Miti d´oggi, di Jean Baudrillard, autore della teoria dei «Simulacri», di Zygmunt Bauman con la sua Modernità liquida. Si chiude con previsioni non rassicuranti: «Sembrerebbe – scrive Melotti nella postilla alla seconda edizione – che la realtà si sia divertita, in pochi mesi, a confermare la tesi del ruolo preminente della finzione nella nostra società». Ma si chiude anche con il plauso di Augé: «Grazie a Massimo Melotti per il suo contributo alla demistificazione del mondo».


La Stampa  – Tuttolibri –

22 Marzo 2008

L’età della finzione Nella società
dell’immagine, tra Debord e Cattelan

VIDEO, MUSICA
E CRONACA NERA

GIULIA
STOK

Viviamo nell’età della finzione integrale. Reality show, processi mediatici, candidati premier che si contendono l’ultimo voto in prima serata: televisione e internet hanno fatto sì che le barriere tra realtà e finzione siano cadute, e che la realtà stessa, per acquistare il peso che dovrebbe avere di diritto, debba sempre più spesso spettacolarizzarsi. In questo contesto disorientante e ingannatore, Massimo Melotti individua gli artisti contemporanei come coloro che meglio comprendono il peso della finzione sui grandi temi della politica e dell’etica, e sanno sfruttare gli effetti di tale meccanismo per renderne cosciente il pubblico. Maurizio Cattelan afferma: «Per me l’arte è vuota, trasparente: è un dispositivo per mettere in moto interpretazioni che appartengono a chi guarda. Alla fine sono gli spettatori a fare il lavoro degli artisti».
L’età della finzione. Arte e società tra realtà ed estasi, ora riproposto con una prefazione di Marc Augé da Luca Sossella (pp. 173, e15), è una mappa, ricchissima di esempi, della società dell’immagine contemporanea e insieme una guida alla sua demistificazione.
L’autore, critico d’arte e responsabile delle relazioni esterne del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, analizza e spiega con ampio supporto di citazioni filosofiche e letterarie, da Debord a Robbe-Grillet, il successo di tanti videogiochi violenti, della musica da discoteca che si avvicina a rituali dionisiaci, di personaggi come Marilyn Manson, di alcune droghe piuttosto che altre, dell’attenzione morbosa dell’opinione pubblica verso casi di cronaca nera sempre più efferati.
E racconta nei dettagli alcune performance di artisti, da Cattelan stesso, Vanessa Beecroft e Alessandro Vezzoli, al Lynch regista di Mulholland Drive, spiegandole alla luce della loro funzione sociale.


 La Stampa, venerdì 11 maggio 2007

 Tra realtà, reality e virtuale

Recensione tra realtà, reality e virtuale


 

La Repubblica, sabato 24 febbraio 2007

Vivere nella realtà svegliarsi nel falso

Recensione Vivere nella realtà svegliarsi nel falso