Ai Weiwei

Sicuramente  Ai Weiwei impersonifica  l’ artista del nostro tempo. Intendendo per nostro tempo l’incontro della società della globalizzazione con le nuove tecnologie della comunicazione.  Artista globale ha realizzato sculture e installazioni, fotografie e opere cinematografiche, ha collaborato come architetto con Herzog & de Meuron per il progetto dello Stadio Olimjpico  di Pechino, il famoso “nido d’uccello”. Ma ancor più che per la sua multimedialità espressiva Ai Weiwei si può considerare protagonista dei nostri tempi per la sua capacità di cavalcare con i mezzi della comunicazione globale più avanzata la questione di fondo dell’era del virtuale, cioè il diritto di espressione nell’epoca della comunicazione. E di saperlo fare utilizzando sia il potere dell’arte e della scrittura, sia ballando il Gangnam Style, il tormentone globale pop su YouTube, come strumento di lotta: un successo musicale pop trash cliccato dai giovani ( e non solo) di tutto il mondo, il primo video della storia a raggiungere il miliardo di visualizzazioni. La versione di Ai Weiwei dove l’artista balla ammanettato, si trasforma in un micidiale siluro contro il potere cinese che rimane impossibilitato a dare qualsiasi risposta. Non certo la forza – come l’arresto dell’artista – in quanto avrebbe portato alla condanna internazionale o al ridicolo. Come si fa a prenderlo sul serio? Nel momento in cui lo fai, prendi sul serio anche la protesta di Ai Weiwei che balla nel video come una scimmia ma ammanettato e quelle manette, se prese sul serio, corrono il rischio di divenire il simbolo della Cina.   La tattica usata in questo caso che fa parte di una strategia più ampia. L’abilità di Ai weiwei è di riuscire con le sue prese di posizione a mettere con le spalle al muro il regime cinese su fatti concreti, a mettere in evidenza il mal funzionamento del sistema, accusandolo di aver costruito edifici come “budini di Tofu” e di denunciarlo realizzando un’opera d’arte, come a Monaco, con  novemila zainetti uguali a quelli degli studenti morti nel disastro del Sichuan.  Le contraddizioni di un sistema che si manifestano nelle cose concrete divengono dirompenti sui grandi temi dei diritti: “Senza libertà di parola non esiste il mondo moderno ma solo barbarie” proclama l’artista, ben sapendo che è proprio la libertà di parola a mettere in crisi l’immagine di società aperta che la dirigenza cinese cerca di accreditare nel mondo. Emblematici in questo senso sono i lavori presentati alla biennale veneziana, uno dedicato ai bambini morti dello Sichuan, l’altro sulla sua prigionia. Il percorso di Ai Weiwei si muove dunque dall’arte all’impegno sociale. Nel 2009 proprio a seguito della sua indagine sulla morte dei bambini nelle scuole durante il terremoto del Sichuan e  per la sua campagna per i diritti civili, il suo blog viene censurato. Più volte malmenato dalla polizia, nel 2011 l’artista veniva arrestato con il pretesto dell’ evasione fiscale. Tenuto in carcere per 81 giorni, viene successivamente sottoposto per un anno ad un regime di libertà vigilata. Oggi Ai Weiwei è considerato un artista internazionale ma più ancora ha assunto un ruolo, in parte nuovo, in ambito artistico quello dell’artista “guru”. Una categoria, se così la si può definire, che in passato ha avuto precedenti illustri basti citare Joseph Beuys e che coglie a piene mani dal modernismo novecentesco, dal movimento del Sessantotto – “Tutto è arte. Tutto è politica”, esclama-, dall’utopia di artisti che si sono battuti e si battono per portare l’arte a un confronto serrato con la vita.  Una categoria che curiosamente oggi spunta in pieno clima postmoderno attestandone forse la crisi o forse rivendicando che i grandi temi si possono affrontare solo con le grandi prese di posizione, quelle irrinunciabili, anche rischiando il carcere o rischiando il ridicolo ballando il Gangnam Style (non so quale dei due sia peggio). L’Ai weiwei-pensiero lo possiamo trovare in Weiweismi a cura di Larry Warsh nella collana Einaudi Stile Libero. Il libretto che raccoglie estratti da articoli, da Twitter e da interviste, è stato suddiviso per grandi temi: la libertà d’espressione, arte e militanza, governo potere e scelte morali, il mondo digitale, la storia e il futuro ed infine le riflessioni personali.  Certo pare azzardato paragonare il pensiero di Ai Weiwei a quelli di Confucio e del Presidente Mao come si legge in quarta di copertina, ma sicuramente è un invito a riflettere non solo sui diritti civili in Cina ma anche sul ruolo dell’arte nella società contemporanea.

*Ai Weiwei pdf