Banksy

Dalla strada ai musei, dalla fuga dai poliziotti alla fuga dai galleristi (che strappano le loro opere dai muri per venderle), la street art sta avendo il suo momento di gloria e di santificazione nel sistema dell’arte internazionale. Eppure quest’arte, nata nelle periferie urbane, mantiene la sua carica dirompente e dissacrante ancora in grado di far aprire gli occhi e di far riflettere il pubblico. Lo dimostra il sintomatico episodio che ha avuto come protagonisti Jeffrey Deitch già gallerista della street art ed ora nelle vesti di direttore del MOCA di Los Angeles e l’artista italiano Blu. Deitch, dopo aver commissionato a Blu un murale all’esterno del museo ad anticipazione della grande mostra che si apre ad aprile, ha deciso di farlo coprire, facendo esplodere la polemica. Blu aveva realizzato sulla grande parete un’immagine divenuta tragicamente emblematica negli Stati Uniti: le bare dei soldati caduti coperte dalla bandiera, solo che alla bandiera aveva sostituito il biglietto verde del dollaro. Insomma ti mandano a morire per la patria e la democrazia o per il business e il dollaro? A peggiorare la situazione poi la direzione del museo si era resa conto che proprio di fronte al muro si trovano il L.A. Veterans’ Affairs Hospital e un monumento dedicato ai soldati americani di origine giapponese, caduti nella seconda guerra mondiale. Deitch, attento al politically correct, per prevenire le lamentele, ha risolto la situazione con una bella mano di vernice bianca.

Un atteggiamento considerato da molti criticabile e contradditorio, sia perché di fatto si è censurata un’opera d’arte, per di più commissionata dallo stesso museo, sia in quanto proprio il MOCA celebra ora la street art con quella che vuole essere la prima grande mostra organizzata da un museo per storicizzare la tendenza.  Art in the Streets, che si tiene dal 17 aprile all’8 agosto al The Geffen Contemporary at MOCA per poi proseguire al Brooklyn Museum da marzo al giugno 2012, racconta la storia dei graffiti e dell’arte di strada dagli anni Settanta ad oggi, focalizzando l’attenzione su alcune città chiave dove graffiti e murali sono stati il prodotto visivo di una cultura nata nelle periferie, da gruppi marginali ma creativi, autentici interpreti dello spirito pop del tempo. Vengono presentate opere di cinquanta fra i più importanti artisti. Come Fab 5 Freddy, pioniere dell’hip hop con un famoso programma su MTV alla fine degli anni Ottanta. Lee Quiñones, una leggenda del Bronx, il primo a dipingere i vagoni della metropolitana. Swoon, la street art al femminile, forse la più raffinata ma sempre socialmente impegnata: mentre le sue opere sono ormai vendute nelle più prestigiose fiere internazionali, l’artista realizza performance di protesta come quando nel 2009 sbarcò alla Biennale di Venezia  con un manipolo di artisti di strada su tre zattere costruite con i rifiuti di New York. Futura è un altro graffitista “storico”che agli inizi degli anni Settanta si faceva inseguire nella subway prima di essere scoperto dalla Fun Gallery, con lui si ha l’introduzione dell’astrattismo segnico. Margaret Kilgallen,morta nel 2001 a trentatre anni, figura centrale movimento della Mission School di San Francisco, recupera elementi del folklore americano. Shepard Fairey di Los Angeles, divenuto famoso come padre dell’adesivo Obey Giant che è dilagato come un’epidemia per gli States, incollato ai pali della luce, alla segnaletica stradale o nei posti più impensati. Da molti Fairey è ritenuto uno degli artefici del successo della campagna elettorale di Obama quando ritrasse il futuro presidente USA in un poster di stile pop che furoreggiò nelle strade ma soprattutto su internet. Os Gệmeos di San Paolo, sono i gemelli che hanno importato i graffiti da New York per poi trasformarli in multicolorate e debordanti opere in cui la cultura di strada si mescola all’iconografia del folklore popolare. JR di Parigi, ha conquistato la notorietà sbattendo sotto gli occhi dei francesi, con gigantesche foto appiccicate ai muri, il disagio sociale delle banlieue parigine. L’artista continua il suo lavoro di denuncia con progetti come Face 2 Face (2007) in cui ha appeso ritratti giganteschi sul muro che divide israeliani e palestinesi. Molti degli artisti presenti in mostra lavorano clandestinamente celando ancora la propria identità, altri operano sia illegalmente sia nel sistema dell’arte, altri ancora hanno abbandonato l’aspetto clandestino per le gallerie o gli interventi pubblici autorizzati.

Ovviamente la storia parte dalle opere di Keith Haring, di Michel Basquiat e dalle vicende della Fun Gallery che nella New York degli anni Ottanta fece conoscere la cultura underground, per giungere alla Los Angeles dei cholo graffiti, le lettere nere delle gang latino-americane e della solare e multicolorata Dogtown skateboard culture. E’ sulle spiagge di  Dogtown, tra Santa Monica e Venice Beach che si forma il gruppo di surfisti, divenuti famosi col nome di Z-Boys, che influenzarono e trasformarono il mondo del surf ma anche dello skateboard con uno stile aggressivo, dando vita a un’estetica surfista. “Fare surf sulla terra come sulle onde” è l’ambizione di una generazione che negli anni Sessanta crea un’iconografia di simboli e colori che dalle tavole da surf e dagli skateboard dilaga alle t-shirt, alla camicie, alle copertine dei dischi, ai muri delle città.

Una particolare sezione sarà dedicata agli artisti losangelini come Craig R. Stecyk III, Chaz Bojórquez, Mister Cartoon, RETNA e ad altri protagonisti della scena californiana.

Nello spirito hip hop la rassegna si preannuncia ancor più spettacolare. Il pubblico verrà accolto da dimostrazioni di skateboard eseguite su una pista realizzata per l’occasione, ma non verranno trascurate le altri componenti della street culture come il ruolo svolto dai filmmaker e dai fotografi che illustrarono gli anni in cui il fenomeno era agli albori e il suo sviluppo. Verrà riproposto Wild Style, girato da Charlie Ahearn nel 1983, film culto per il mondo hip hop con sequenze di breakdance, freestyle e anche con una performance del dj Grandmaster Flash, ideatore di diverse tecniche che oggi sono diffuse nelle discoteche di tutto il mondo.

La grande mostra, se sicuramente sarà l’evento della stagione, oltre a trascinarsi la polemica con Blu ha sollevato qualche dubbio riguardante la scelta degli artisti, secondo alcuni troppo incentrata sugli USA quando ormai il fenomeno è a livello mondiale e sul ruolo di Jeffrey Deitch, della cui scuderia fanno parte alcuni street artist.

Il felice periodo che attraversa la street art è confermato anche da un altro recente episodio. Banksy, il famoso street artist inglese si è aggiudicato con il documentario Exit Through The Gift Shop la nomination ed era in gara per l’Oscar. La possibilità, poi sfumata, che l’artista partecipasse alla cerimonia di premiazione sotto l’occhio del mondo intero aveva messo in agitazione la pur collaudata macchina dell’Accademy. Infatti l’artista è famoso, oltre che per i suoi interventi sui muri, anche per le performance di guerrilla art, atte a mettere in crisi il sistema, come appendere clandestinamente sue opere nei musei. Ma soprattutto perché l’identità di Banksy è ancora segreta e correva voce che l’artista si sarebbe presentato indossando una maschera da scimmia.

Ma vi è un corollario a questa storia che fa capire quanto la street art sia strettamente collegata non solo al mondo della musica giovanile, al video, ma soprattutto a internet e come ciò porti a effetti moltiplicatori sino a ieri impensabili per le diverse pratiche artistiche. Un esempio eclatante si era avuto con il ritratto di Obama di Fairey. Un altro nasce proprio dall’Oscar mancato di Banksy quando sul muro di un garage a Weston, una cittadina inglese, compare in puro stile Banksy un murale raffigurante una bambina imbronciata che stringe la statuetta d’oro. La notizia si diffonde su internet e viene accolta come la risposta del writer. Altri sostengono che non è autentica. Nel dubbio qualcuno, forse ricordandosi le quotazioni di Banksy, ha pensato bene di salvaguardarla coprendola con un plexiglas. Solo qualche anno fa l’avrebbero coperta con una bella mano di vernice bianca.

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