Il dibattito tra postmoderno e nuovo realismo che prosegue con convegni sia in Italia che all’estero, infervorando illustri filosofi, soprattutto italiani, non sembra scaldare più di tanto gli animi di artisti, critici e addetti ai lavori dell’arte contemporanea. Eppure negli anni Ottanta il pensiero di Lyotard fu la base e il passaporto internazionale della Transavanguardia di Achille Bonito Oliva. Di fatto assurse a rottura del pensiero e dell’arte modernista, che in Italia si identificava nell’Arte povera, dando origine ad un filone di innegabile successo. Tanto che in tempi più recenti vi fu chi, per non abiurare ad un passato modernista, prese a leggere, con qualche palese forzatura, la Transavanguardia non come un fenomeno di cambiamento ma come un’ evoluzione dell’Arte povera. Altri tempi. Da allora, più che dal substrato filosofico o ideologico, più che dal sentire postmodermo o modernista, le ultime generazioni di artisti, salvo encomiabili eccezioni, sono andate sempre più definendosi da un punto di vista funzionale al sistema dell’arte. Così ritroviamo caratterizzazioni che spaziano dagli artisti delle Biennali, specializzati nelle presenze alle rassegne, a quelli delle Residenze per artisti che hanno adeguato il loro lavoro in modo che sia funzionale ad ottenere soggiorni in giro per il mondo, a quelli “curatoriali”, allevati come polli in batteria secondo i parametri di un international style, dettati da collezionisti e gallerie di tendenza. Pertanto forse a causa della debolezza della speculazione filosofica o essendo impegnati, critici e artisti in quanto sopra, non deve stupire se oggi il vento del new realism, con il conseguente ritorno o almeno apertura ad un arte “forte” sia stato considerato meno che una brezza.
In un recente saggio, edito dalla casa editrice Mimesis, dal titolo perentorio “Giù le mani dalla modernità” Francesca Alix Nicòli, unendo alla riflessione filosofica uno sguardo critico sull’arte dei nostri giorni, richiama con forza ai cambiamenti dell’arte nella società dei media e propone una lettura originale se non provocatoria su quali siano le relazioni con il pensiero filosofico. Così il percorso proposto dall’autrice partendo da una rilettura del lavoro di Fausto Melotti all’Eur, si dilata in una riflessione più generale sull’interpretazione critica dell’arte contemporanea e più ancora su come le principali correnti di pensiero si siano confrontate. Analisi che viene confortata dagli incontri con artisti come i Kabakov, Louise Bourgeois, Jan Fabre, Antony Gormley e altri. Sino a porsi il quesito di fondo: se la riflessione postmoderna sia tutt’ora valida nella spiegazione del mondo o quanto meno dell’arte. Per la verità la tesi sostenuta sembrerebbe quella non tanto di una difesa a spada tratta della modernità, come il titolo proclama, quanto, in un contesto postmoderno visto come innegabile evoluzione dei tempi, salvare alcuni elementi fondamentali di modernità. Atteggiamento che poi a ben guardare dovrebbe essere l’essenza stessa del postmodernismo.