Da David a Saatchi. Trattato di sociologia dell’arte contemporanea

il_giornale_dellarte_testata

Raimondo Strassoldo, dopo la docenza in sociologia urbana e rurale, dal 1994 insegna sociologia dell’arte all’università di Udine. Nel 1998 ha pubblicato, tra l’altro, il manuale Forma e funzione. Introduzione alla sociologia dell’arte. Ora dà alle stampe da Forum di Udine Da David a Saatchi, trattato di sociologia dell’arte contemporanea, un tomo di oltre 500 pagine che si pone come proseguimento di ampia portata del primo testo. L’autore prende in considerazione l’arte moderna e soprattutto contemporanea nelle sue caratteristiche e dinamiche di sistema: dai problemi di definizione ai fondamenti culturali, dal ruolo dello Stato e del mercato agli artisti. Ed ancora come la filosofia, la storia, la critica abbiano analizzato il fenomeno artistico. Dopo aver illustrato le varie tipologie d’arte da quella civile all’arte d’avanguardia e alla neoavanguardia, si giunge all’arte della postmodernità con le sue peculiarità rispetto all’arte delle avanguardie, e con un approfondimento sui rapporti con la cultura di massa, i mass media e le nuove tecnologie. Altri capitoli sono dedicati alla mercificazione, alla museificazione, ai collezionisti e al pubblico. Ma è nella quarta parte, dedicata alla critica dell’arte contemporanea, che l’autore chiarisce del tutto la sua posizione. “Tutto questo libro – scrive – nasce da una posizione, per usare un eufemismo, di forte perplessità nei riguardi di molti aspetti dell’arte contemporanea”. E ci avvisa che a questo punto “il registro cambia e diventa esplicitamente critico”. L’autore si sofferma su alcuni luoghi comuni (a suo dire) dell’arte contemporanea: dall’unità dell’arte alle sue funzioni educative, dall’arte come strumento di conoscenza alla creatività, al rapporto fra etica e arte. Un altro capitolo è contro i critici d’arte con una raccolta di pareri negativi che vanno dall’oscurità del linguaggio all’accusa di ipocrisia, paragonati pure a quei preti che continuano a celebrare la messa senza credere più in Dio. Strassoldo prende di mira anche il mito dell’artista: Picasso “una personalità assai sgradevole”, Duchamp “odia tutto ciò che è arte” e Warhol “il dandy al cubo”. Infine si riportano le tesi di studiosi del Novecento, storici, filosofi, critici che hanno assunto una posizione di contestazione nei confronti del sistema dell’arte e alle voci critiche dei sociologi che si sono occupati d’arte.

 La sociologia dell’arte non è in Italia un terreno particolarmente frequentato, mancano di fatto analisi e approfondimenti, mancano ricerche che utilizzino gli strumenti di indagine tipici della sociologia, dai sondaggi alle inchieste, all’elaborazione dei dati, mancano soprattutto ricerche che uniscano le competenze sociologiche e di storia dell’arte. Manca in sostanza una piattaforma di conoscenze dalla quale partire per poter giungere a un’analisi e una valutazione più veritiera e possibilmente più obbiettiva del sistema dell’arte.

Quindi ben venga un saggio fortemente critico che, con una scrittura chiara e accattivante, raccoglie un’ampia documentazione e bibliografia, con spunti sicuramente interessanti, riportando tesi e punti di vista dissonanti o di critica rispetto al coro dei sostenitori. Ma lo scopo di Strassoldo non è un testo al di sopra delle parti bensì di parte. “Questo non è neppure un trattato che voglia analizzare in maniera distaccata e neutrale il fenomeno artistico. E’ invece un libro a tesi, di parte.” E specifica che a differenza dei molti testi di denuncia sulla crisi dell’arte contemporanea o sulla sua inconsistenza, qui si appresta un’analisi sociologica o socio-storica. Non un pamphlet di denuncia quindi bensì un’analisi sistematica supportata da “prove empiriche”, confortate dalle prese di posizioni di altri critici e studiosi, a sostegno della tesi dell’autore.

Per dar elementi combustibili al fuoco della polemica, l’autore utilizza tutto quanto può servire: da Kant al gossip storico, passando da Baudrillard e Danto, ingenerando una sensazione di vaghezza al pur severo impianto su cui basa la sua tesi e facendoci sorgere un atroce sospetto: ma davvero tutto ciò che si trova nei musei d’arte contemporanea di tutto il mondo è da buttare?

Possiamo capire che Damien Hirst con le sue mucche squartate possa non piacere, così come molte ricerche d’arte contemporanea possano urtare la sensibilità di parte del pubblico, e sicuramente il sistema dell’arte ha le sue pecche (come tutti i sistemi) ma Strassoldo compie un taglio netto, mettendo in discussione tutta l’arte nata dagli impressionisti e dalle avanguardie, quella che ha prodotto l’evoluzione dell’arte sino ai giorni nostri.

Così facendo, corre il rischio di indebolire l’analisi sociologica, seppur di parte, riducendola a una presa di posizione a priori. Un conto però è presentare le tesi a favore e contro e poi dire da che parte si sta, un altro è dichiarare che stiamo da una parte e portare a supporto solo ciò che avvalora la nostra tesi.


Raimondo Strassoldo. Da David a Saatchi Trattato di sociologia dell’arte contemporanea. Forum Editrice Universitaria Udinese srl, Udine, dicembre 2010, pagg.537

*Da David a Saatchi. Trattato di sociologia dell’arte contemporanea pdf