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Il museo sta stretto alla Street Art

Il Giornale dell’Arte, n. 309, Maggio 2011

il museo sta stretto alla street art

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Posted in Senza categoria on 12 aprile 2015 by MassimoMelotti.

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Castello di Rivoli Omaggio a Marco Rivetti 7 luglio, ore 15.00 – 19.30 A vent’anni dalla sua scomparsa, il Castello di Rivoli dedica una giornata di studio alla figura di Marco Rivetti, Presidente del Museo dal 1988 al 1993. Sperimentando con l’arte e la creatività contemporanea, inventò una nuova forma di comunicazione d’impresa. Alla fine degli anni Settanta diede un nuovo impulso al Gruppo Finanziario Tessile (Gruppo GFT), trasformando l’azienda in una forza internazionale pionieristicamente lanciata nella produzione del prêt-à-porter.
Panorama. Francesco Jodice. A cura di Francesco Zanot. Camera – Centro Italiano per la fotografia Torino. 11 maggio – 14 agosto 2016

25 maggio 2016. Giornata dell'Accademia Albertina di Belle Arti. Castello di Rivoli- Museo d'Arte Contemporanea

L’Italia della ricostruzione nelle immagini della pubblicità (1950-1970)
a cura di Massimo Melotti
Sede espositiva: Casa del Conte Verde, Via F.lli Piol 8, Rivoli (TO)
22 gennaio – 6 marzo 2016

Francesco Jodice. AMERICAN RECORDINGS
a cura di Massimo Melotti
inaugurazione 16 ottobre 2015
periodo: 17 ottobre 2015 – 10 gennaio 2016
Manica Lunga, Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea
Il Novecento visto come il “secolo americano” è il tema che Francesco Jodice ha pensato per il progetto New Media del Museo. Per la Sala Multimediale della Manica Lunga – che consente una proiezione simultanea sincrona o asincrona su cinque mega schermi – l’artista ha ideato l’installazione AMERICAN RECORDINGS, 2015 (20’), una vera e propria sinfonia per immagini grazie alla quale Francesco Jodice percorre il Novecento, secolo di miti ed eroi made in USA che hanno creato l’immaginario collettivo delle generazioni non solo di quel tempo.

American Recordings
A cura di Massimo Melotti Francesco Jodice. American Recordings 17 ottobre 2015 – 10 gennaio 2016
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AMERICAN RECORDINGS è un’installazione audiovisuale su cinque schermi strutturata secondo i principi di una partitura sinfonica che narra la storia del “Secolo Americano” come sineddoche dell’Occidente. Presidenti americani e filosofi europei, personaggi della fiction e musicisti punk, scrittori e politologi, cineasti e avventori casuali, attraverso un montaggio alternato, prendono parte ad un dialogo surrettizio intorno all’ascesa e alla caduta dell’Ultimo Impero Romano e, per estensione, del sistema di valori del mondo occidentale.

Conversazione con Francesco Jodice

Massimo Melotti – Vorrei partire da lontano. Documenta 11 di Okwui Enwezor del 2002 conferma una visione dell’arte impegnata nel sociale sia attraverso le opere, sia direttamente come documentazione o partecipazione a fenomeni sociali da parte dell’artista. La discussione verte su come l’arte può svilupparsi nel mondo globalizzato. In effetti la mostra è un susseguirsi di opere che danno il senso del cambiamento in atto. Una complessità che è bene illustrata dalle immagini di Nuova Delhi, colorate e caotiche di Ravi Agarwal, come dalla fredda linearità delle strutture di Bernd e Hilla Becher. Alle dolenti sculture di Louise Bourgeois fanno da controcanto le strutture di tensione di Doris Salsedo, alle periferie del mondo raffigurate con un’oggettività che ne esalta le contraddizioni si accompagna la ricerca sul rapporto individuo-ambiente come luogo di disagi esistenziali. Tra gli oltre cento artisti di tutto il mondo solo due le presenze italiane: Giuseppe Gabellone e Multiplicity. Quest’ultimo è il collettivo formato, oltre che da te, da Stefano Boeri, Maddalena Bregani, Francisca Insulza, Giovanni La Varra e John Palmesino. Il lavoro presentato si intitola Solid Sea, ed è una videoinstallazione sul naufragio avvenuto nel Canale di Sicilia, nel 1996, nel quale perirono 283 migranti. Un tema tragicamente di grande attualità che allora non era percepito dai più e su cui, con una procedura antesignana per i tempi, l’arte ardiva richiamare l’attenzione utilizzando gli strumenti della creatività e della documentazione con un mutamento di registro. Ai tempi ve ne rendevate pienamente conto?

Francesco Jodice – Una delle motivazioni che spinse alla nascita di Multiplicity fu all’epoca (1997, NdR) la discrasia tra la nostra percezione del cambiamento dei contesti e quello raccontato e contenuto nell’arte e nei Media più in generale. Ci chiedevamo: “Ma questi paradossi storici li notiamo solo noi? Interessano a qualcuno?”. Multiplicity era un network di ricercatori interessati all’osservazione, elaborazione e restituzione di contesti geopolitici che si stavano modificando. Questa modificazione del paesaggio osservato implicava e imponeva una riedizione della forma del racconto: il network, le video-installazioni sincronizzate, l’“opera d’arte” come espressione di un dialogo costruito da decine di ricercatori, furono conseguenza di una necessità. Abbiamo costruito un setaccio che selezionava e riordinava in una nuova forma artistica i contenuti analizzati. Hans Ulrich Obrist andava in giro a dire che stavamo inventando una diversa modalità dell’arte. In Italia se ne interessarono in pochi.

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